INFERNO 2

[1-9] Il giorno se ne andava, e l’oscurità sottraeva gli esseri viventi alle loro fatiche; e io, unica solitaria eccezione, mi preparavo ad affrontare il conflitto sia del viaggio sia della compassione, che sarà descritto dalla memoria infallibile. O muse, o alto intelletto, adesso aiutatemi; o memoria, che scrivesti ciò che vidi, qui si mostrerà la tua nobiltà.

[10-42] Io cominciai: «Poeta che mi conduci, considera se il mio valore può bastare, prima di affidarmi a questo arduo passaggio. Tu sostieni che il padre di Silvio [Enea], ancora vivente, visitò il mondo eterno, e lo fece con le facoltà sensibili. Se il nemico di ogni malvagità [Dio] fu gentile con lui meditando l’importante conseguenza della sua impresa, sia l’identità sia la qualità sue non sembrano indegne a chi ragiona, per il seguente motivo: egli infatti fu scelto nell’Empireo come padre della gloriosa Roma e del suo impero; il quale impero dal quale Enea (se si vuole dire il vero) fu stabilito a vantaggio della santa sede del successore di Pietro. Per questo viaggio, di cui gli rendi merito, egli venne a sapere notizie che determinarono la sua vittoria [sui Latini] e la potestà pontificia. Poi vi andò il messaggero prescelto [san Paolo] per portare da lì conforto a quella fede da cui comincia la via della salvezza. Ma io, perché dovrei andarci? o chi lo concede? Io non sono né Enea né Paolo: che io sia degno per questo compito, non lo credo né io, né altri. Pertanto, se mi lascio andare per questo viaggio, temo che l’andare sia folle. Sei saggio: intendi meglio di quanto io ragioni». E come è colui che non vuole più ciò che ha voluto prima, e cambia proposito per nuovi pensieri, al punto che si distoglie del tutto dal cominciare, così divenni io su quell’oscuro fianco del colle: ragion per cui consumai, nel pensiero, l’impresa che era iniziata tanto rapidamente.

[43-126] «Se ho ben compreso il tuo discorso», rispose lo spirito di quel grande uomo, «la tua anima è offesa da vile debolezza; la quale molto spesso pervade l’uomo così da allontanarlo da un’onorevole impresa, come una falsa visione distoglie una bestia quando le ombre si allungano. Affinché tu ti liberi da questo timore, ti dirò perché sono venuto e quel che ho sentito la prima volta che mi sono addolorato per te. Io ero tra le anime sospese [nel Limbo], e mi chiamò una donna beata e bella, tale che fui io a pregarla di comandare. I suoi occhi brillavano più delle stelle; e prese a dirmi, dolce e semplice, con voce d’angelo nel parlare: «O anima gentile mantovana, di cui perdura ancora la fama nel mondo, e perdurerà a lungo quanto il mondo stesso, l’amico mio (sincero, non della fortuna) nel pianoro deserto è a tal punto ostacolato nel cammino, che si è volto per paura; e temo che sia ormai così confuso, che io mi sia mossa troppo tardi in suo soccorso, per quello che ho udito di lui nel cielo. Muoviti ora, e con la tua facondia e con ciò che serve alla sua salvezza, aiutalo, in modo che io ne riceva consolazione. Io sono Beatrice, che ti faccio andare; vengo da dove desidero tornare; mi mosse Amore, che mi fa parlare. Quando mi troverò al cospetto del mio signore, tesserò le tue lodi con lui”. Allora tacque, e poi cominciai io: “O donna virtuosa, sola per cui la specie umana può trascendere il minore dei cieli [della Luna], il tuo invito mi è così gradito che mi è tardi ubbidire, anche se potessi farlo già ora; non hai più bisogno di rivelarmi la tua volontà. Ma dimmi il motivo per cui non ti preoccupi di scendere qua giù, al centro della Terra, dall’ampio luogo dove brami di ritornare”. “Dal momento che vuoi sapere tanto a fondo, ti dirò in breve”, mi rispose, “perché non temo di venire qua dentro. Si deve aver timore solo di quelle cose che hanno il potere di recar danno; delle altre no, infatti non spaventano. Io sono stata creata da Dio, per sua grazia, tale, che non mi tocca la vostra dannazione, né fiamma di codesto incendio può assalirmi. Nel cielo vi è una donna gentile che si rattrista per questo ostacolo verso il quale ti mando, in modo che lassù riesce a rompere il duro giudizio divino. Questa chiamò presso di sé Lucia, e disse: ‘Ora il tuo fedele ha bisogno di te, e io a te lo raccomando’. Lucia, nemica di ogni malvagità, si mosse, e venne dove mi trovavo io, che mi sedevo con l’antica Rachele. ‘Beatrice’, disse, ‘vera gloria di Dio, perché non soccorri colui che ti amò tanto che uscì per te dalla schiera del volgo? Non odi tu l’angoscia del suo pianto, non vedi tu la morte [quella spirituale] che lo sfida sul fiume in piena di cui il mare non si vanta [che non arriva al mare]?’. Al mondo non ci furono mai persone veloci a fare il loro utile, e nemmeno a evitare il loro danno, come fui io, dopo tali parole, a venir qua giù dal mio seggio beato, confidando nella tua onorevole eloquenza, che onora te e quelli che l’hanno udita’. Dopo avermi detto questo, volse lo sguardo lucente di lacrime: per cui mi affrettò nel venire, e venni da te così come lei volle; ti tolsi dal cospetto di quella bestia che ti impedì di raggiungere presto la bella altura. Dunque: che c’è? perché, perché indugi? perché attiri e accogli tanta viltà nel cuore? perché non hai coraggio e libertà, dato che tre tali donne benedette si curano di te nella corte celeste, e il mio discorso ti assicura un bene così grande?».

[127-142] Come dei fiorellini piegati e chiusi dal gelo notturno, dopo che il sole li imbianca, si drizzano tutti aperti sul loro stelo, tale divenni io, da stanco che ero, e al cuore mi corse un coraggio tanto buono, che io cominciai a dire liberamente: «Oh piena di pietà colei che mi soccorse! e te pieno di cortesia, che ubbidisti subito alle sincere parole che ti rivolse! Tu mi hai, con desiderio, disposto il cuore ad andare, mediante le tue parole, al punto che sono ritornato nel primo proposito. Ora vai, ché entrambi abbiamo una sola volontà: tu guida, tu padrone e tu maestro». Così gli dissi; e dopo che si mosse, entrai per il cammino profondo e selvaggio.

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INFERNO 2

INFERNO 1 (PARAFRASI)

[1-9] A metà del cammino della nostra vita [circa 35 anni], mi resi conto che stavo attraversando una selva oscura: era infatti perduta la retta via. E quanto è difficile descrivere codesta selva selvatica e aspra e ardua, che rinnova la paura solo a pensarci! Tanto è amara che la morte lo è poco di più; ma per parlare del bene che vi trovai, dirò delle altre cose che vi ho scorto.

[10-30] Non so ripetere bene come vi entrai: a tal punto ero invaso dal sonno [del peccato], nel momento in cui abbandonai la retta via. Ma quando fui giunto ai piedi di un colle, laddove finiva quella valle che mi aveva afflitto il cuore di paura, alzai lo sguardo, e vidi le sue spalle già vestite dei raggi del pianeta che conduce chiunque dritto per ogni sentiero [il sole]. Allora si acquietò un poco la paura che mi si era cristallizzata nel lago del cuore durante la notte da me trascorsa con tanta angoscia. E come colui che è uscito, col respiro affannoso, fuori dal mare, sulla riva, si volge all’acqua pericolosa, e la guarda; così il mio animo, ancora in fuga, si volse indietro a rimirare il passo che giammai lasciò vivo alcuno. Poi, riposato un poco il corpo stanco, ripartii attraverso il declivio deserto, in modo che il piede più stabile era sempre quello più basso.

[31-60] Ed ecco, quasi all’inizio della salita, una lonza agile e molto rapida, che era coperta da un pelo macchiato; e non si allontanava dal mio volto, anzi ostacolava tanto il mio cammino, che più volte fui sul punto di tornare indietro. Era l’ora mattutina, e il sole ascendeva con quelle stelle che lo accompagnavano quando l’amore di Dio impresse il primo movimento a quelle bellezze: tanto che l’ora del giorno e la dolce stagione [la primavera] mi davano motivo di sperar bene riguardo a quella fiera dal manto screziato; ma non tanto che non mi impaurisse la vista che mi apparve di un leone: questi pareva dirigersi contro di me con il capo levato e con una fame piena di rabbia, sicché pareva che l’aria avesse timore di lui. E una lupa che sembrava carica di ogni brama nella sua magrezza e che già fece vivere molti popoli nella miseria, questa mi diede tanta ambascia, con la paura che emanava la sua vista, da farmi perdere la speranza di poter raggiungere la cima. E quale è colui che ottiene volentieri qualcosa, e viene il tempo della sua rovina, che piange e si rattrista in tutti i suoi pensieri, tale mi rese la bestia irrequieta: infatti, a mano a mano che mi veniva incontro, gradualmente mi respingeva laddove il sole non risplende.

[61-78] Mentre scivolavo in giù, mi si presentò davanti agli occhi uno che, per il suo lungo silenzio, pareva quasi muto. Quando vidi costui nel grande deserto, gli gridai: «Abbi compassione di me, chiunque tu sia, o spirito o uomo in carne e ossa!». Mi rispose: «Non sono uomo, ma lo fui, e i miei genitori furono dell’Italia settentrionale, entrambi mantovani di origine. Nacqui ai tempi di Giulio Cesare, benché fosse tardi [per dire di essere vissuto sotto di lui], e vissi a Roma sotto il buono Augusto, al tempo delle divinità menzognere. Fui poeta, e cantai le imprese del giusto figlio d’Anchise giunto da Troia dopo l’incendio della superba Ilio. Ma tu perché ritorni a una così grande tribolazione? Perché non sali la piacevole altura da cui incomincia e deriva ogni gioia?».

[79-90] «Dunque sei tu quel Virgilio e quella fonte che propaga un fiume così abbondante di parole?», risposi a lui con lo sguardo basso per la vergogna. «O luminoso lustro degli altri poeti, valgano a mio favore la lunga dedizione e il grande amore che mi hanno spinto a esaminare approfonditamente il tuo libro [l’Eneide]. Tu sei il mio maestro e il mio poeta, tu sei il solo da cui presi il bello stile che mi ha fatto onore. Vedi la bestia per cui tornai indietro: difendimi da lei, famoso sapiente, ché essa mi fa tremare vene e arterie [perché prive di sangue]».

[91-129] «Devi seguire un altro percorso», rispose dopo avermi visto piangere, «se vuoi scampare da codesto luogo selvaggio: infatti quella bestia per cui gridi non lascia passare alcuno per la sua strada, ma lo ostacola fino a ucciderlo; e ha una natura così malvagia e crudele che non sazia mai l’appetito bramoso, e dopo il pasto ha più fame di prima. Sono molti gli esseri viventi con i quali si accoppia, e saranno ancora di più, finché non verrà il veltro a farla morire con dolore. Questi non si nutrirà di beni terreni (terreni o metalli), ma di sapienza, di amore e di virtù, e nascerà tra due cappelli di feltro [di Castore e Polluce, ovvero sotto il segno dei Gemelli]. Sarà la salvezza di quella umile Italia per cui morirono in battaglia la vergine Camilla, Eurialo, Turno e Niso. Questi caccerà la lupa per ogni città, fino a quando non l’avrà rispedita all’inferno, da dove in origine la mandò l’invidia [di Lucifero]. Pertanto ritengo, nel tuo interesse, che tu mi segua, e io sarò la tua guida e porterò te da qui attraverso un luogo al di fuori del tempo, dove sentirai le disperate grida, vedrai le antiche anime dolenti che invocano ciascuno la seconda morte [la condanna del corpo e dell’anima insieme, dopo il Giudizio universale], e vedrai coloro che ardono contenti perché sperano di raggiungere, quando sarà, il popolo dei beati. E se poi vorrai salire da questi, per tale compito ci sarà un’anima più degna di me: con lei ti lascerò partendo; infatti quell’imperatore che regna lassù non vuole che io entri nella sua città, poiché rifiutai la sua legge. Dappertutto impera e lì esercita il comando; sono lì la sua città e l’alto trono: oh fortunato colui che egli lì presceglie!».

[130-136] E io a lui: «Poeta, io ti prego in nome di quel dio che tu non conoscesti, affinché io fugga questo male [la selva del peccato] e uno ancor peggiore [la dannazione eterna], che tu mi conduca dove testé hai detto, così che io veda la porta di San Pietro e coloro che tu dici tanto afflitti». Allora si mosse, e io gli tenni dietro.

INFERNO 1 (PARAFRASI)