INFERNO 2

[1-9] Il giorno se ne andava, e l’oscurità sottraeva gli esseri viventi alle loro fatiche; e io, unica solitaria eccezione, mi preparavo ad affrontare il conflitto sia del viaggio sia della compassione, che sarà descritto dalla memoria infallibile. O muse, o alto intelletto, adesso aiutatemi; o memoria, che scrivesti ciò che vidi, qui si mostrerà la tua nobiltà.

[10-42] Io cominciai: «Poeta che mi conduci, considera se il mio valore può bastare, prima di affidarmi a questo arduo passaggio. Tu sostieni che il padre di Silvio [Enea], ancora vivente, visitò il mondo eterno, e lo fece con le facoltà sensibili. Se il nemico di ogni malvagità [Dio] fu gentile con lui meditando l’importante conseguenza della sua impresa, sia l’identità sia la qualità sue non sembrano indegne a chi ragiona, per il seguente motivo: egli infatti fu scelto nell’Empireo come padre della gloriosa Roma e del suo impero; il quale impero dal quale Enea (se si vuole dire il vero) fu stabilito a vantaggio della santa sede del successore di Pietro. Per questo viaggio, di cui gli rendi merito, egli venne a sapere notizie che determinarono la sua vittoria [sui Latini] e la potestà pontificia. Poi vi andò il messaggero prescelto [san Paolo] per portare da lì conforto a quella fede da cui comincia la via della salvezza. Ma io, perché dovrei andarci? o chi lo concede? Io non sono né Enea né Paolo: che io sia degno per questo compito, non lo credo né io, né altri. Pertanto, se mi lascio andare per questo viaggio, temo che l’andare sia folle. Sei saggio: intendi meglio di quanto io ragioni». E come è colui che non vuole più ciò che ha voluto prima, e cambia proposito per nuovi pensieri, al punto che si distoglie del tutto dal cominciare, così divenni io su quell’oscuro fianco del colle: ragion per cui consumai, nel pensiero, l’impresa che era iniziata tanto rapidamente.

[43-126] «Se ho ben compreso il tuo discorso», rispose lo spirito di quel grande uomo, «la tua anima è offesa da vile debolezza; la quale molto spesso pervade l’uomo così da allontanarlo da un’onorevole impresa, come una falsa visione distoglie una bestia quando le ombre si allungano. Affinché tu ti liberi da questo timore, ti dirò perché sono venuto e quel che ho sentito la prima volta che mi sono addolorato per te. Io ero tra le anime sospese [nel Limbo], e mi chiamò una donna beata e bella, tale che fui io a pregarla di comandare. I suoi occhi brillavano più delle stelle; e prese a dirmi, dolce e semplice, con voce d’angelo nel parlare: «O anima gentile mantovana, di cui perdura ancora la fama nel mondo, e perdurerà a lungo quanto il mondo stesso, l’amico mio (sincero, non della fortuna) nel pianoro deserto è a tal punto ostacolato nel cammino, che si è volto per paura; e temo che sia ormai così confuso, che io mi sia mossa troppo tardi in suo soccorso, per quello che ho udito di lui nel cielo. Muoviti ora, e con la tua facondia e con ciò che serve alla sua salvezza, aiutalo, in modo che io ne riceva consolazione. Io sono Beatrice, che ti faccio andare; vengo da dove desidero tornare; mi mosse Amore, che mi fa parlare. Quando mi troverò al cospetto del mio signore, tesserò le tue lodi con lui”. Allora tacque, e poi cominciai io: “O donna virtuosa, sola per cui la specie umana può trascendere il minore dei cieli [della Luna], il tuo invito mi è così gradito che mi è tardi ubbidire, anche se potessi farlo già ora; non hai più bisogno di rivelarmi la tua volontà. Ma dimmi il motivo per cui non ti preoccupi di scendere qua giù, al centro della Terra, dall’ampio luogo dove brami di ritornare”. “Dal momento che vuoi sapere tanto a fondo, ti dirò in breve”, mi rispose, “perché non temo di venire qua dentro. Si deve aver timore solo di quelle cose che hanno il potere di recar danno; delle altre no, infatti non spaventano. Io sono stata creata da Dio, per sua grazia, tale, che non mi tocca la vostra dannazione, né fiamma di codesto incendio può assalirmi. Nel cielo vi è una donna gentile che si rattrista per questo ostacolo verso il quale ti mando, in modo che lassù riesce a rompere il duro giudizio divino. Questa chiamò presso di sé Lucia, e disse: ‘Ora il tuo fedele ha bisogno di te, e io a te lo raccomando’. Lucia, nemica di ogni malvagità, si mosse, e venne dove mi trovavo io, che mi sedevo con l’antica Rachele. ‘Beatrice’, disse, ‘vera gloria di Dio, perché non soccorri colui che ti amò tanto che uscì per te dalla schiera del volgo? Non odi tu l’angoscia del suo pianto, non vedi tu la morte [quella spirituale] che lo sfida sul fiume in piena di cui il mare non si vanta [che non arriva al mare]?’. Al mondo non ci furono mai persone veloci a fare il loro utile, e nemmeno a evitare il loro danno, come fui io, dopo tali parole, a venir qua giù dal mio seggio beato, confidando nella tua onorevole eloquenza, che onora te e quelli che l’hanno udita’. Dopo avermi detto questo, volse lo sguardo lucente di lacrime: per cui mi affrettò nel venire, e venni da te così come lei volle; ti tolsi dal cospetto di quella bestia che ti impedì di raggiungere presto la bella altura. Dunque: che c’è? perché, perché indugi? perché attiri e accogli tanta viltà nel cuore? perché non hai coraggio e libertà, dato che tre tali donne benedette si curano di te nella corte celeste, e il mio discorso ti assicura un bene così grande?».

[127-142] Come dei fiorellini piegati e chiusi dal gelo notturno, dopo che il sole li imbianca, si drizzano tutti aperti sul loro stelo, tale divenni io, da stanco che ero, e al cuore mi corse un coraggio tanto buono, che io cominciai a dire liberamente: «Oh piena di pietà colei che mi soccorse! e te pieno di cortesia, che ubbidisti subito alle sincere parole che ti rivolse! Tu mi hai, con desiderio, disposto il cuore ad andare, mediante le tue parole, al punto che sono ritornato nel primo proposito. Ora vai, ché entrambi abbiamo una sola volontà: tu guida, tu padrone e tu maestro». Così gli dissi; e dopo che si mosse, entrai per il cammino profondo e selvaggio.

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INFERNO 2

INFERNO 2

Lo giorno se n’andava, e l’aer bruno

toglieva gli animal’ che sono in terra

da le fatiche loro; et io sol uno                                         3

m’aparecchiava a sostener la guerra

sì del cammino e sì della pietate,

che ritrarrà la mente che non erra.                                    6

O muse, o alto ingegno, or m’aiutate;

o mente che scrivesti ciò ch’io vidi,

qui si parrà la tua nobilitate.                                             9

Io cominciai: «Poeta che mi guidi,

guarda la mia virtù s’ell’è possente,

prima ch’a l’alto passo tu mi fidi.                                   12

Tu dici che di Silvïo il parente,

corruttibile ancora, ad immortale

secolo andò, e fu sensibil-mente.                                    15

Però, se l’aversario d’ogni male

cortese i fu pensando l’alto effetto

ch’uscir dovea di lui e ’l chi e ’l quale,                           18

non pare indegno ad omo d’intelletto:

ch’e’ fu dell’alma Roma e di suo impero

ne l’empirïo ciel per padre eletto;                                   21

lo qual ‹d›al quale, a voler dir lo vero,

fu stabilito per lo loco santo

u’ siede il successor del maggior Piero.                        24

Per questa andata, onde li dài tu vanto,

intes’e’ cose che furon cagione

di sua vittoria e del papale ammanto.                             27

Andòvi poi lo Vas d’elezïone

per recarne conforto a quella fede

ch’è principio a la via di salvazione.                              30

Ma io, perché venirvi? o chi ’l concede?

Io non Enea, io non Paol sono:

me degno a ciò né io né altri il crede.                             33

Per che, se del venire io m’abandono,

temo che la venuta non sia folle.

Sè savio: intendi me’ ch’i’ non ragiono».                      36

E qual è quei che disvuol ciò ch’e’ volle,

e per nuovi pensier’ cangia proposta,

sì ch’e’ dal cominciar tutto si stolle,                              39

tal mi fec’io in quella oscura costa:

per che, pensando, consumai la ’mpresa

che fu al cominciar cotanto tosta.                                   42

«Se i’ ò ben la parola tua ’ntesa»,

rispuose del magnanimo quell’ombra,

«la mente tua è da viltate offesa;                                    45

la qual molte fïate l’huomo ingombra

sì che d’onrata impresa lo rivolve,

come falso veder bestia quand’ombra.                            48

Da questa tema a ciò che tu ti solve,

dirotti perch’io venni e quel ch’io ’ntesi

nel primo punto che di te mi dolve.                                51

Io era intra color che son sospesi,

e donna mi chiamò beata e bella,

tal che di comandare io la richiesi.                                 54

Lucevan gli occhi suoi più che la stella;

e cominciomi a dir soave e piana,

con angelica voce in la favella:                                      57

“O anima cortese mantovana,

di cui la fama ancor nel mondo dura,

e durerà quanto il mondo lontana,                                 60

l’amico mio, e non della ventura,

nella diserta piaggia è impedito

sì nel cammin, che vòlt’è per paura;                              63

e temo ch’e’ non sia già sì smarrito,

ch’i’ mi sia tardi al soccorso levata,

per quel ch’i’ ò di lui in cielo udito.                               66

Or muovi, e con la tua parola ornata

e con ciò ch’à mestieri al suo campare

l’aiuta sì, ch’i’ ne sia consolata.                                     69

I’ son Beatrice che ti faccio andare;

vegno del loco ove tornar disio;

Amor mi mosse, che mi fa parlare.                                 72

Quando sarò dinanzi al signor mio,

di te mi loderò sovente a lui”.

Tacette allora, e poi comincia’ io:                                   75

“O donna di virtù, sola per cui

l’umana spezie eccede ogni contento

di quel ciel ch’à minor’ li cerchi suoi,                             78

tanto m’agrada il tuo comandamento,

che l’ubidir, s’e’ già fosse, m’è tardi;

più non t’è uopo aprirmi il tuo talento.                            81

Ma dimmi la cagion che non ti guardi

dello scender qua giuso in questo centro

dell’ampio loco ove tornar tu ardi”.                                 84

“Da che tu vuo’ saper cotanto a dentro,

dirotti brieve-mente”, mi rispuose,

“perch’io non temo di venir qua entro.                             87

Temer si dee di sole quelle cose

ch’ànno potenza di fare altrui male;

de l’altre no, ché non son paurose.                                    90

I’ son fatta da Dio, sua mercé, tale,

che la vostra miseria non mi tange,

né fiamma d’esto incendio non m’assale.                          93

Donna è gentil nel ciel che si compiange

di questo impedimento ov’io ti mando,

sì che duro giudicio là sù frange.                                       96

Questa chiese Lucia in suo dimando,

e disse: ‘Or à bisogno il tuo fedele

di te, et io a te lo raccomando’.                                         99

Lucia, nimica di ciascun crudele,

si mosse, e venne al loco dov’i’ era,

che mi sedea con l’antica Rachele.                                 102

‘Beatrice’, disse, ‘loda di Dio vera,

ché non soccorri quei che t’amò tanto

ch’uscì per te della volgare schiera?                                105

Non odi tu la pieta del suo pianto,

non vedi tu la morte che ’l combatte

su la fiumana onde ’l mar non à vanto?’.                         108

Al mondo non fûr mai persone ratte

a far lor pro et a fuggir lor danno,

com’io, dopo cotai parole fatte,                                       111

venni qua giù del mio beato scanno,

fidandomi nel tuo parlare honesto,

ch’onora te e quei ch’udito l’ànno”.                                 114

Poscia che m’ebbe ragionato questo,

gli occhi lucenti lagrimando volse:

per che mi fece del venir più presto,                                 117

e venni a te così com’ella volse;

d’inanzi a quella fiera ti levai

che del bel monte il corto andar ti tolse.                           120

Dunque: che è? perché, perché ristai?

perché tanta viltà nel cuore allette?

perché ardire e franchezza non ài,                                    123

poscia che tai tre donne benedette

curan di te nella corte del cielo,

e ’l mio parlar tanto ben ti ’mpromette?».                       126

Quali fioretti dal notturno gelo

chinati e chiusi, poi che ’l sol li ’mbianca,

si drizzan tutti aperti in loro stelo,                                   129

tal mi fec’io di mia virtute stanca;

e tanto buono ardire al cor mi corse,

ch’i’ cominciai come persona franca:                            132

«O‹h› pietosa colei che mi soccorse!

e te cortese ch’ubbidisti tosto

a le vere parole che ti porse!                                          135

Tu m’ài con disiderio il cor disposto

sì al venir con le parole tue,

ch’i’ son tornato nel primo proposto.                             138

Or và, ch’un sol volere è d’ambendue:

tu duca, tu segnore e tu maestro».

Così li dissi; e poi ch’e’ mosso fue,

intrai per lo cammino alto e silvestro.                           142

 

***

  1. aer Mart*] aere Triv Pal 2. sono in Triv Pal] sono ’n Mart* 3. sol uno Mart* Triv] solo uno Pal   4. aparecchiava Triv] apparecchiaua Mart* Pal   5. cammino Triv Pal] camino Mart*   7. ingegno Triv Pal] ’ngegno Mart* – or Triv Pal] hor Mart*    8. ch’io Triv Pal] ch’i Mart*   11. s’ella Triv] s’ell’ Mart*, sel Pal       13. il ex lo Mart    14. corruttibile Triv Pal] Corruttibil’ Mart* – ancora Triv Pal] anchor Mart*    15. Secolo Triv Pal] Secol’ Mart*   19. ad Mart* Triv] a Pal – omo Triv] huomo Mart*, homo Pal    20. e’ Triv Pal] ei Mart* – dell’a. Triv] de l’a. Mart* Pal – impero Triv Pal] ’mpero Mart*   21. ne l’ Mart* Pal] nell Triv – empirïo Mart] imp(e)rio Triv, impireo (rev. -io?) Pal   24. siede il Triv Pal] sciede’l Mart* – successor Mart* Triv] sucessor Pal   25. questa a. Triv Pal] quest’a. Mart* – li dài Mart* Triv] gli da Pal   27. ammanto Mart* Triv] ama(n)to Pal   28. Andòvi Mart* Triv] Andouui Pal   30. a la Mart* Triv] al la Pal   32. Io Triv Pal] I Mart* – Paol Pal] paolo Mart* Triv    33. altri ’l] altri il Mart, altri il Triv, altri il Pal   34. io Triv Pal] i Mart* – abandono Triv] abbandono Mart* Pal   36. intendi Triv Pal] ’ntendi Mart – ch’i’ Mart* Triv] chio Pal   38. nuovi Mart* Pal] noui Triv – cangia Mart* Triv] ca(m)bia Pal   41. Si che Ham    43. Se i ho Mart*, Se io o Ham – la parola tua ex la tua p. Mart, la tua p. Ham    44. quell’ombra Mart* Triv] quelombra Pal      46. l’huomo Mart* Pal] l’omo Triv   47. donrata Triv] d’honrata Mart*, donorata Pal   49. acciò Mart*] acio Triv, ad cio Pal    50. perch’io Triv Pal] perch’i Mart* – ’ntesi Mart* Triv] intesi Pal   51. Del Ham – dolle Ham    52. tra Mart* La Ham – collor La, coloro Ham    53. beata ex cortese Mart La    54. comandare Triv Pal] commandar Mart*   55. gli occhi Mart* Pal] liocchi Triv –  suoi Triv Pal] suo Mart*   56. cominciòmi Pal] cominciommi Mart Triv   57. in la ex in sua Mart, insua La Ham   59. fama ancor Triv Pal] fam’anchor Mart*   60. quanto il Triv Pal] quanto’l Mart*   61. della Triv Pal] de la Mart*    62. nella Triv Pal] Ne la Mart* – e si p(er)duto Ham    63. cammin Triv] camin Mart* Pal   65. ch’i’ Mart* Pal] chio Triv   66. chio o Ham – cielo ex ciel Mart    67. Or Triv Pal] Hor Mart* – muovi Mart* Pal] moui Triv    68. mestieri Mart* Triv] mestier Pal   69. ch’i’ Mart* Triv] chio Pal   70. I’ Mart* Triv] Io Pal   75. Allora Pal] allhora Mart*, alora Triv – comincia’ Mart* Triv] cominciai Pal   77. l’umana Triv] L’humana Mart*, lhumana Pal – spezie Triv] specie Mart*, speçie Pal   78.    79. m’agrada il tuo Triv Pal] m’aggrada’l tu’ Mart*    80. l’ubidir Mart*] lubidire Triv, lubbidire Pal   83. qua giuso Mart Triv] quaggiuso Pal   84. dell’ampio Mart] del ampio Triv Pal   85. vuo’ Triv] uuoi Mart*, uuoi Pal – cotanto Triv Pal] cotant’a Mart*   88. dee Mart Triv] de‹e›  Pal   89. fare Triv Pal] far Mart*   91. I’ Mart* Triv] Io Pal – mercé Mart* Triv] merçe Pal   92. chella La   93. destio desto Ham – masale La Ham   94. Donnae Ham – gintil La, lasu Ham – chessi La – compiagne La   95. impedimento Triv Pal] ’mpedimento Mart*   96. là sù Mart* Triv] lassu Pal   97. Questo Ham – chierse Ham    98. or Triv Pal] hor Mart*   99. laracomando Ham    100. nimica Mart* Pal] nemica Triv   105. ch’uscì Mart* Triv] che Pal   106. suo ex su Mart, su Ham    107. Non odi Ham    108. ’l Mart* Triv] il Pal       111. cotai Mart*] cota Triv, cotal Pal   112. qua giù Mart* Triv] quaggiu Pal – mio Triv Pal] mi’ Mart*    113. parlare Mart* Pal] parlar Triv – honesto Mart* Triv] onesto Pal   114. ch’onora Triv Pal] C’honora Mart*  115. ebbe Triv Pal] hebbe Mart*    116. gli occhi Mart* Pal] liocchi Triv   121. ristai Pal] restai Mart* Triv   122. cuore Mart Pal] cuor Triv –  allette Mart* Pal] alecte Triv   123. ardire Mart Pal] ardir Triv – franchezza Mart* Triv] francheça Pal   125. nella Triv Pal] ne la Mart*   126. mio p. Triv Pal] mi parlar Mart*   127. Qual i Mart* – cielo Ham    128. li ’mbianca Triv] gl’imbianca Mart* Pal   129. drizzan Mart* Triv] diriçan Pal   131. buono ex buon Mart* – ardire ex ardir Mart*, ardir La Ham – porse Ham    132. ch’i’ Mart*] chio Triv, chio Pal   134. ch’ubbidisti Triv Pal] ch’ubidisti Mart*   135. a le Mart* Triv] alle Pal   136. disiderio Triv Pal] desiderio Mart*   138. ch’i’ Mart* Triv] chio Pal    139. Or Triv Pal] Hor Mart* – ch’un Mart* Triv] che un Pal – volere Triv Pal] uoler Mart*   140. segnore Mart Triv] signore Pal   142. cammino Triv Pal] camino Mart

 

 

  1. animali Mart Triv La (rev. animal) Ham Rb Mad Laur Pal 3. Delle Ham  7. musa La (muse rev.) – altro ingegnio Ham   10. I ncominciai Mart* Ham, I dissi allui Lar (Io cominciai La)   11. guata Laur   12. che lalto Ham   13. siluo Ham   15. fo (et) ando La   17. [i] fu Mart* Rb Laur, ei fu Mad   18. il chi Ham, echi Rb Laur, el cui Urb   22. La quale Mart* La, Lo quale Triv Laur Pal, Il chi Ham, O quale Rb (L- agg. a marg.), Lo qual Urb, El quale Mad – al quale Mart Triv Urb Mad Pal, el qual La, (e)lqale Ham, elquale Rb Laur   23. stabilita Rb   24. ve Ham (rev. u), oue Rb Pal (rev. u), ou Mad   26. intesi Triv, entesi Mad   30. Che p(er) noi piu Rb (principio a marg.) – a uia Urb   32. paulo La Ham Rb Urb Mad   33. ne degno Ham Rb Urb laur – [’l] crede La Mad   34. Tal che Laur, Pero Pal – al uenire Urb   36. ch(e) no(n) Ham Urb   37. E quale colui Rb – [è] Urb – chel uolle Mad   39. del Ham – tolle Mart* Triv La Ham Rb Urb Mad Laur   40. scura Mad Pal   42. fu nel Mart* Triv La Ham Rb Urb Mad Laur   42. Sio Triv La Rb Mad – la tua parola Ham Urb Laur Pal – intesa Triv Mart* La Ham Rb Urb Mad Laur (en-) Pal   45. L’anima Mart*, lanima Triv La Ham Rb Urb Mad Laur   46. spesse fiate Mart*   47. la r. Ham Laur Pal   50. Intendi Ham – chentesi La Laur   51. Del Ham   52. tra Mart* Pal, intera di Rb   53. cortese (e) bella La (rev. beata e bella), cortese e piana Rb   55. chuna s. Ham   56. cominciommi a parlar Mart Triv, comi(n)ciomi a dir Mad – co(r)tese (e) piana Ham   57. in sua f. La Ham Urb Mad, en la f. Laur [i vv. 55-57 mancano in Rb]   59. ancor la fama Laur   60. moto Mart* Triv La, muoto Mad, mo(n)do ex moto Pal – fin chel mundo Laur – e lontana Ham   62. e si p(er)duto Ham   63. che uolto La (rev. che uolto e)   64. chel non Mad   65. tarda Laur – a secorso Rb, a socorso Laur   66. nel cielo Mart* Triv La Ham Rb Urb Mad (ciel) Laur   67. [e] Ham Laur Pal (rev. agg. in alto)   68. chamaestri Ham   69. la vita Triv (rev. –iu-), lauita Ham, la uita Mad   71. dal Ham   72. moue Laur – fe La (rev. fa)   75. Ristette Ham – [e] Rb   76. solo Lar (sola La)   78. da La Rb Pal – minuri i Rb, minor i Pal   79. mi grada tuo Laur   80. men t. Triv, mo t. Ham, i(n)me t. Laur, men t. Pal   81. Pio no(n)tte che afforsarci Ham – vo caprirmi Triv, uo c’aprirmi Mart, uopo caprirmi La, uo chaprirmi Rb (rev. uopo), uopo chapri(r)mi Laur (rev. che), uopo aprirmi Pal (ex uo caprirmi?), opo chaprir Urb, uopo chaprir Mad   82. p(er) che no(n) g. Laur   83. discendere Ham – aq(ue)sto Ham   84. dalampio La Rb Mad   86. dirolti Ham Rb Laur Pal   87. Per che no Ham – qui Urb – dent(ro) Mad   88. de quelle sole Rb, sol di quelle Urb, solo di quelle Laur, ‹di sol› quelle Pal   90. non Urb Mad Laur – spaurose Mad   94. [e] La (rev. e) Ham (rev. agg. sul rigo) Laur – lasu nel Ham – in ciel Urb   98. ora bisogna La Rb, orabiçognia Ham – al Ham   102. chio mi Urb – [mi] Laur – racchele La, rachaelle Mad   103. Disse beatrice La (B-) Rb Ham (bia-) Laur, E disse beatrice Urb Mad Pal   104. aquel Ham   107. non odi Ham Laur   108. ouel mar Mart* (’l) Triv La Laur   110. suo pro Urb – p(ro)de Ham, prode Mad – o ad Mart, ne a Triv La (rev. o) Mad, (et) a Ham Rb, e a Laur Urb Pal (prode)   111. dipo Ham – ta Laur – tratte Ham Urb   113. del tuo Mart Ham Urb Mad (dil) Pal   117. de uegnir Rb, diuenir Laur   118. si come Mart Rb (com)   120. di bel Rb   121. che ai Lar (che e La) – per che p(er)che p(er)che Ham, p(er) che che e p (che) Laur   124. tre tai Mad, tra tre Laur   126. ti promette Mart Triv La Urb, ti promete Mad   127. Quali ei Mad, Qual Laur (rev. Quali)   129. rissan Ham, riçça(n) Laur   131. allor mi Pal – porse Ham Rb   134. tu La (rev. te) Ham Laur Pal   136. col disiderio Laur   139. ambedue Mart Triv Rb (an-) Mad, amendue Laur (ā- anziché –-) Pal   142. Entro Laur       

 

 

21. La forma di Mart, empirio, conta tredici occorrenze trecentesche nell’OVI (da Giordano da Pisa al volgarizzamento della Legenda aurea); inoltre è l’anagramma di imperio. Dante gioca con le due parole per sottolineare il nesso tra il dominio di Roma e il disegno celeste.

22. La lezione prevalente, lo quale al quale, non dà senso; la quale e ’l quale sarà conciero, attestato da una parte di b e riferito all’endiadi dell’alma Roma e di suo impero, che stona ripresa come doppia ‘coniunctio relativa’, soprattutto con il verbo al singolare, peraltro posposto (diverso il caso di VN 39.6 [«che cotale desiderio malvagio e vana tentazione paresse distrutto»], laddove i due soggetti di genere diverso sono riformulazioni sinonimiche del medesimo referente). La lezione congetturale, che sanerebbe una diffrazione in assenza, ristabilisce il soggetto logico (l’impero romano) e il complemento d’agente (Enea). Peraltro si ritrova, ope ingenii, nel ms. D.58 della Biblioteca Comunale Augusta di Perugia (http://www.danteonline.it/italiano/codici_frames/codici.asp?idcod=601). La ‘scriptio continua’ avrà facilitato l’errore polare dell’archetipo (anche per influsso del successivo a voler): *Lo quale dal quale > Lo quale al quale. Da ultimo, si consideri l’importanza della terzina per la questione dei rapporti fra potere temporale e spirituale: Enea stabilì l’impero di Roma per il futuro vantaggio della sede apostolica (‘pro sancto loco ubi sedit successor maioris Petri’), protetta dalla spada imperiale («cum mortalis ista felicitas quodammodo ad inmortalem felicitatem ordinetur» [Mn 3.16.17]).

32. Per la forma Paolo (rispetto al latinismo Paulo) cfr. F 112.10: «San Paolo predicava i compagnoni». Nondimeno risulta difficilior l’apocope, con scansione dieretica, di Pal, suffragata da tre riscontri dell’OVI del secondo Trecento, versi di area toscana (Brizio Visconti, Antonio Pucci, Jacopo da Montepulciano); la scriptio plena è, come al solito, prevalente. Sia Enea sia Paol non hanno bisogno del segno di dieresi, in assenza di differenti scansioni nel poema.

39. A favore del più raro stolle (variante aferetica di distogliere) depongono due brani in versi e, per la completiva, uno in prosa (del 1334): «piacegli pur ch’io peri, / poi la mi cela e stolle» (Davanzati, Rime, canz. 47, v. 80); «e non sarà giamai, al mio vivente, / ched io da voi mi stolla» (Monte, tenz. 65, v. 6); «E se alcuno lavorente si stollesse di pagare la condannagione […] sia divietato per la detta arte» (Ordinamenti dell’Arte della lana di San Gimignano, p. 124).

41. La grafia divisa (per che) restituisce il rapporto logico con i vv. 37-40: Dante consuma l’impresa a causa dei dubbi (novi pensier’) che lo assalgono, quasi prevedendo un esito infausto.

42. Per il sintagma al cominciar (non seguito da complemento) cfr. «per ch’io al cominciar ne lagrimai» (If 3.24); la sostituzione con nel, poligenetica, sarà dovuta al tentativo di evitare la dialefe fu-al (cfr. If 8.46; Pg 17.30, 21.66; Pd 12.75), anche attraverso l’epitesi –ne (fùne), poi divenuta preposizione.

43. Il possessivo interposto (tra il sostantivo e il participio passato) è banalmente anticipato da alcuni copisti; va invece mantenuta la cesura dopo l’avverbio (‘se ho davvero compreso quel che hai detto’, cfr. «Io era ben del suo ammonir uso» [Pg 12.85]), il che è possibile con l’aferesi del prefisso (cfr. «Pur a la pegola era la mia ’ntesa» [If 22.16]). Petrocchi attribuisce a Mad la lezione Se io, forse interpretando come un’abbreviazione il taglio della S maiuscola a inizio di terzina, usuale nel codice.

45. A favore del più difficile mente (dato l’influsso dell’aggettivo magnanimo e del sostantivo ombra ‘anima’) si può portare il sonetto di Dino Frescobaldi Per tanto pianger: «Quest’è quel pianto che fa li occhi tristi, / e la mia mente paurosa e vile, / per la pietà che di se stessa prende» (vv. 9-11). La variante anima deriverà dall’espressione viltà d’animo di Cv 1.11, in cui però il femminile stona; anche la caduta del titulus può spiegare la genesi: lamēte (Pal) > *laniete > lanima.

47. Alcuni copisti riferiscono il pronome alla mente umana (o all’anima) del v. 45.

48. Sul significato della temporale quand’ombra (‘all’imbrunire, quando si allungano le ombre’) vd. Spagnolo 2017a.

52. Riguardo all’impiego di intra per «indicare posizione di mezzo tra più altre persone o cose», vd. ED, s. v. (a cura di Aldo Duro); in particolare, cfr. Pg 10.82-83: «La miserella intra tutti costoro / pareva dir». Sintomatico l’errore di Rb (intera), che rafforza la testimonianza di Triv, a fronte della facillima riduzione (anche per via della lettura aferetica).

57. Petrocchi considera in la errore monogenetico e mette a testo in sua, che è invece mera variante, dettata dal rifiuto della preposizione analitica, più rara in Dante: nella Comedìa, oltre a questa, si contano diciassette occorrenze con in; e si veda la lezione erronea (molto diffusa) Una palude in luogo di In la palude a If 7.106. Cfr. Fiore di rett. (red. gamma), cap. 59, p. 143: «perché il bene profferere è di tanta virtù nella favella che niuna diceria sarebe di tanta bontà che paresse niente, se colui che la dice nolla profferesse bene e piacevolemente».

66. La vicinanza del v. 94 («Donna è gentil nel ciel che si compiange») e il tentativo di evitare iato con lui fanno propendere per in cielo, che ritorna nella stessa posizione (ottava e nona sede) a If 11.22 («D’ogne malizia, ch’odio in cielo acquista»).

69. La lezione la vita non è di per sé erronea, legandosi a quanto precede: ‘Ora muoviti sia con la tua parola ornata sia con ciò che è necessario alla sua sopravvivenza». Per la locuzione campare la vita cfr. «a me socor[r]ere a campar la vita» (F 206.6), «e qual è quei che vuol campar la vita» (Rustico Filippi, son. 12, v. 3).

77. La forma spezie è garantita dalla rima equivoca nel Tesoretto (v. 1002 [: spezie ‘sostanze aromatiche’]), mentre nella Comedìa troviamo spec(i)e in rima (Pd 1.57 [: fece : lece]); tuttavia nel verso in questione la combinazione con eccede avrà favorito la variante con l’affricata alveolare.

80. La grafia mētardi (con titulus di raddoppiamento fonosintattico) confonde alcuni copisti.

81. Il ch(e) sarà subentrato (forse già nell’archetipo) per influsso del più non a inizio di verso (cfr. «più non ci avrai che sol passando il loto» [If 8.21], «che più non fa che brevi contingenze» [Pd 13.63]), ma il concetto qui è fuori luogo, soprattutto dopo l’iperbole del verso precedente, in cui Virgilio dice che perfino eseguire all’istante l’ordine di Beatrice sarebbe per lui un indugio eccessivo; ma, soprattutto, l’apocope sillabica di uopo non è attestata altrove, né in Dante né in testi del Due-Trecento. In realtà, fu Bembo, nelle Prose (1.10), a proporre uo’ (presentato come provenzalismo, anche se in provenzale è ops) sulla base di quei manoscritti che leggono vo/uo, forse intendendolo come ‘voglio’ (cfr. non ti uo in Ga, codice esemplato dallo stesso copista di Triv, Francesco di ser Nardo da Barberino), con una sintassi faticosa (‘non voglio più che tu ecc.’), come rimedio alla palese ipermetria; si deve all’autorità del cardinale se nel secondo Ottocento editori e commentatori del poema (a partire da Luigi Bennassuti) recuperarono questa lezione. Meglio espungere ch(e) e intendere ‘non devi manifestarmi oltre il tuo desiderio’; così acquista senso il Ma che introduce la curiosità di Virgilio sulla discesa di Beatrice nel limbo.

90. L’aggettivo spauroso (recato da Mad, testimone ligure) è di area settentrionale (attestazioni a partire dal primo Trecento).

103. Un caso di conciero da manuale (già rilevato da Lanza): il verbum dicendi interposto viene frainteso dai copisti (Beatrice soggetto anziché vocativo), che si affrettano a correggere invertendo le parole; alcuni però avvertono la difficoltà del Disse a inizio assoluto, e così premettono la congiunzione, determinando ipermetria.

108. La proposta di Mauro Cursietti (su la fiumana ov’è, ’l mar non ha vanto), accolta da Lanza, presenta una locuzione (avere vanto su) priva di attestazioni; inoltre, di fronte all’immagine allegorica del fiume in piena (analoga alla selva oscura), sarebbe fuori luogo aggiungere un altro termine di comparazione preso in senso letterale (il mare, appunto); per non dire che i gorghi fluviali sono proverbialmente più infidi delle acque del mare. Coglie bene il senso del verso l’Ottimo (3a red.): «però che [la fiumana] non mette in lui. Il mare caccia via ogni cosa corrotta». Questa allegoria della Provvidenza torna nella terza cantica (Pd 1.113, 3.86) e risale agli scritti di Gregorio di Nazianzo (330-390), che per primo definisce Dio pelagos ousias, infinito e illimitato, al di là dei concetti di tempo e di natura (vd. Étienne Gilson, La filosofia nel Medioevo. Dalle origini patristiche alla fine del XIV secolo, trad. di Maria Assunta del Torre, Firenze, La Nuova Italia, 1997, p. 74). Santa Lucia fa capire a Beatrice che, senza un intervento miracoloso, Dante resterà in un vicolo cieco, in balia degli eventi, ben lontano dalla salvezza; del resto, nella prospettiva cristiana, la vita dei buoni rende lode a Dio (vanto), mentre quella dei malvagi equivale a una bestemmia.

110. L’incertezza dei copisti è dovuta a un eccesso di distinguo (o, ) rispetto alla semplice congiunzione; ma, a ben vedere, Beatrice, nell’andare subito da Virgilio, fa il suo bene e allo stesso tempo fugge dal male, ovvero dalle conseguenze nefaste di una sua eventuale inerzia.

113. Lo stesso Petrocchi si esprime, per l’intensità del significato, a favore del costrutto fidarsi in, ma «in primo luogo il canone editoriale» lo porta ad allontanarsi dal testo della ’21. In realtà si tratta di scambio poligenetico, per cui non valgono le ragioni stemmatiche; comunque sia, va tenuto conto anche dell’accordo di Triv (α) con La e Rb (β). Dei riscontri portati nella voce fidare dell’ED (a cura di Fernando Salsano) merita particolare attenzione Fiore 126.5: Né non si fidi già in escritture.

121. Anche alla luce della testimonianza di Urb e Laur, si preferisce la forma ristai, più frequente nei testi fiorentini.

126. Cfr. «sì ch’a me ‹te›sté giuro e imprometto» (Cavalcanti, 50.3). Poligenetica la caduta del titulus.

 

INFERNO 2