[1-9] A metà del cammino della nostra vita [circa 35 anni], mi resi conto che stavo attraversando una selva oscura: era infatti perduta la retta via. E quanto è difficile descrivere codesta selva selvatica e aspra e ardua, che rinnova la paura solo a pensarci! Tanto è amara che la morte lo è poco di più; ma per parlare del bene che vi trovai, dirò delle altre cose che vi ho scorto.
[10-30] Non so ripetere bene come vi entrai: a tal punto ero invaso dal sonno [del peccato], nel momento in cui abbandonai la retta via. Ma quando fui giunto ai piedi di un colle, laddove finiva quella valle che mi aveva afflitto il cuore di paura, alzai lo sguardo, e vidi le sue spalle già vestite dei raggi del pianeta che conduce chiunque dritto per ogni sentiero [il sole]. Allora si acquietò un poco la paura che mi si era cristallizzata nel lago del cuore durante la notte da me trascorsa con tanta angoscia. E come colui che è uscito, col respiro affannoso, fuori dal mare, sulla riva, si volge all’acqua pericolosa, e la guarda; così il mio animo, ancora in fuga, si volse indietro a rimirare il passo che giammai lasciò vivo alcuno. Poi, riposato un poco il corpo stanco, ripartii attraverso il declivio deserto, in modo che il piede più stabile era sempre quello più basso.
[31-60] Ed ecco, quasi all’inizio della salita, una lonza agile e molto rapida, che era coperta da un pelo macchiato; e non si allontanava dal mio volto, anzi ostacolava tanto il mio cammino, che più volte fui sul punto di tornare indietro. Era l’ora mattutina, e il sole ascendeva con quelle stelle che lo accompagnavano quando l’amore di Dio impresse il primo movimento a quelle bellezze: tanto che l’ora del giorno e la dolce stagione [la primavera] mi davano motivo di sperar bene riguardo a quella fiera dal manto screziato; ma non tanto che non mi impaurisse la vista che mi apparve di un leone: questi pareva dirigersi contro di me con il capo levato e con una fame piena di rabbia, sicché pareva che l’aria avesse timore di lui. E una lupa che sembrava carica di ogni brama nella sua magrezza e che già fece vivere molti popoli nella miseria, questa mi diede tanta ambascia, con la paura che emanava la sua vista, da farmi perdere la speranza di poter raggiungere la cima. E quale è colui che ottiene volentieri qualcosa, e viene il tempo della sua rovina, che piange e si rattrista in tutti i suoi pensieri, tale mi rese la bestia irrequieta: infatti, a mano a mano che mi veniva incontro, gradualmente mi respingeva laddove il sole non risplende.
[61-78] Mentre scivolavo in giù, mi si presentò davanti agli occhi uno che, per il suo lungo silenzio, pareva quasi muto. Quando vidi costui nel grande deserto, gli gridai: «Abbi compassione di me, chiunque tu sia, o spirito o uomo in carne e ossa!». Mi rispose: «Non sono uomo, ma lo fui, e i miei genitori furono dell’Italia settentrionale, entrambi mantovani di origine. Nacqui ai tempi di Giulio Cesare, benché fosse tardi [per dire di essere vissuto sotto di lui], e vissi a Roma sotto il buono Augusto, al tempo delle divinità menzognere. Fui poeta, e cantai le imprese del giusto figlio d’Anchise giunto da Troia dopo l’incendio della superba Ilio. Ma tu perché ritorni a una così grande tribolazione? Perché non sali la piacevole altura da cui incomincia e deriva ogni gioia?».
[79-90] «Dunque sei tu quel Virgilio e quella fonte che propaga un fiume così abbondante di parole?», risposi a lui con lo sguardo basso per la vergogna. «O luminoso lustro degli altri poeti, valgano a mio favore la lunga dedizione e il grande amore che mi hanno spinto a esaminare approfonditamente il tuo libro [l’Eneide]. Tu sei il mio maestro e il mio poeta, tu sei il solo da cui presi il bello stile che mi ha fatto onore. Vedi la bestia per cui tornai indietro: difendimi da lei, famoso sapiente, ché essa mi fa tremare vene e arterie [perché prive di sangue]».
[91-129] «Devi seguire un altro percorso», rispose dopo avermi visto piangere, «se vuoi scampare da codesto luogo selvaggio: infatti quella bestia per cui gridi non lascia passare alcuno per la sua strada, ma lo ostacola fino a ucciderlo; e ha una natura così malvagia e crudele che non sazia mai l’appetito bramoso, e dopo il pasto ha più fame di prima. Sono molti gli esseri viventi con i quali si accoppia, e saranno ancora di più, finché non verrà il veltro a farla morire con dolore. Questi non si nutrirà di beni terreni (terreni o metalli), ma di sapienza, di amore e di virtù, e nascerà tra due cappelli di feltro [di Castore e Polluce, ovvero sotto il segno dei Gemelli]. Sarà la salvezza di quella umile Italia per cui morirono in battaglia la vergine Camilla, Eurialo, Turno e Niso. Questi caccerà la lupa per ogni città, fino a quando non l’avrà rispedita all’inferno, da dove in origine la mandò l’invidia [di Lucifero]. Pertanto ritengo, nel tuo interesse, che tu mi segua, e io sarò la tua guida e porterò te da qui attraverso un luogo al di fuori del tempo, dove sentirai le disperate grida, vedrai le antiche anime dolenti che invocano ciascuno la seconda morte [la condanna del corpo e dell’anima insieme, dopo il Giudizio universale], e vedrai coloro che ardono contenti perché sperano di raggiungere, quando sarà, il popolo dei beati. E se poi vorrai salire da questi, per tale compito ci sarà un’anima più degna di me: con lei ti lascerò partendo; infatti quell’imperatore che regna lassù non vuole che io entri nella sua città, poiché rifiutai la sua legge. Dappertutto impera e lì esercita il comando; sono lì la sua città e l’alto trono: oh fortunato colui che egli lì presceglie!».
[130-136] E io a lui: «Poeta, io ti prego in nome di quel dio che tu non conoscesti, affinché io fugga questo male [la selva del peccato] e uno ancor peggiore [la dannazione eterna], che tu mi conduca dove testé hai detto, così che io veda la porta di San Pietro e coloro che tu dici tanto afflitti». Allora si mosse, e io gli tenni dietro.